Giacometti. La scultura

Ultima tappa del viaggio nella scultura moderna proposto nella Capitale, in contemporanea con quella di Rodin alle Terme di Diocleziano e con “D’apres Rodin. Scultura italiana del primo Novecento” della GNAM, troviamo alla Galleria Borghese, tempio della scultura romana, “Giacometti. La scultura”. La mostra, dopo lunghi ritardi è finalmente approdata a Roma, curata da Anna Coliva, direttrice della Borghese e da Christian Klemm, uno dei maggiori studiosi dell’artista svizzero. Il luogo che la ospita, con la sua collezione permanente, diviene parte integrante della retrospettiva, dialogando e agevolando la comprensione della portata dell’opera di Giacometti.

Quaranta le opere in mostra, fra gessi, bronzi e disegni, esposte in dieci sale del museo pinciano, dove si trovano a confronto con capolavori che vanno dall’età romana, al Rinascimento, al Barocco fino al Neoclassico, completando idealmente la collezione romana con opere del Novecento. La retrospettiva su Giacometti propone opere della giovinezza, quando avviato all’arte dal padre, pittore post-impressonista, realizza alcuni ritratti ai famigliari; indaga le sue influenze da quella fondamentale esercitata dall’arte egizia, che caratterizzerà le sue opere più celebri, alle avanguardie come il cubismo, del quale conobbe il suo fondatore, Picasso, al surrealismo, al quale aderì, conoscendo anche Breton, fino alle opere pubbliche, come quella per la Chase Manhattan Plaza, dove fu incaricato di arredare lo spazio antistante l’omonima banca, ricostruito alla Borghese nel Salone che accoglie i visitatori. Nelle sale, le opere di Giacometti sono state sapientemente poste in relazione con le sculture di Bernini e Canova, permettendo allo spettatore di cogliere differenze e analogie. Nella sala di Paolina, accanto all’opera del Canova sono esposte “Testa che osserva” del 1928, opera che testimonia il suo avvicinamento al cubismo, caratterizzata da un’estrema essenzialità, che ricorda quella neoclassica, dove le forme sono appena accennate ed evocano la figura. Nella stessa stanza “Donna sdraiata” che si avvicina all’opera del Canova per la sinuosità delle forme e il candore del materiale, mentre il legame con la figura femminile è mantenuto solo nel titolo. Nella sala del David al cospetto dell’eroe biblico, fermato da Bernini in un attimo carico di energia, “L’Uomo che vacilla”, anch’esso bloccato in un movimento che esprime un equilibrio precario, metafora della condizione dell’uomo moderno. Nella sala dell’Ermafrodito, due opere legate all’influenza surrealista: la “Donna cucchiaio” e la “Donna sgozzata”. L’opera più nota dell’elvetico “L’uomo che cammina” si trova nella stanza di Enea. Anche qui la statua barocca funge da termine di confronto: la vigorosa muscolatura dell’eroe che porta in spalle l’anziano padre, si scontra con l’esile figura isolata dello scultore italo-svizzero. Entrambe le opere rappresentano le sorti del sopravvissuto, ma se in Bernini la solitudine è smorzata dalle figure dei famigliari, in Giacometti è assoluta. L’Uomo è gravato da un’enorme responsabilità e il suo isolamento gliene fa sentire maggiormente il peso. Nella Loggia di Lanfranco, che chiude la mostra, sono esposti i busti di Giacometti: “Lothar III”, “Busto d’Uomo” e “Busto di Annette”, al cospetto dei capolavori berniniani. I busti divergono per l’attenzione dei particolari nei tratti somatici, solo accennati dallo svizzero e per il trattamento screpolato delle superfici di quest’ultimo, ma inaspettatamente condividono con le opere seicentesche la vitalità degli sguardi, che sembrano cogliere un attimo di vita.

La mostra della Borghese, qui appena tratteggiata, evidenzia come sia mutato nel corso dei secoli il rapporto tra la materia e lo spazio che la circonda. Nella scultura antica era la statua a creare lo spazio intorno a sé, in Giacometti, e prima già in Rodin, è al contrario lo spazio che aggredisce la scultura fino quasi a dissolverla. Questa pare risorgere con le sue superfici screpolate, costellate da brandelli di materia, da un logorante percorso infuocato, come se l’autore avesse voluto scolpire sui materiali su cui lavorava quello che i tormenti della sua esistenza avevano provocato sulla sua anima, tanto da lasciarne indimenticabili tracce. Il tema giacomettiano della solitudine, della vulnerabilità dell’uomo nella vacuità dello spazio, emerge con vigore, anche grazie al dialogo instaurato con la collezione romana.

Roma, Galleria Borghese

5 Febbraio – 25 Maggio 2014

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