Un inverno di grande arte è quello che propone il Complesso del Vittoriano, offrendo in contemporanea artisti del calibro di Edward Hopper e Antonio Ligabue, entrambi contraddistinti da un carattere schivo e solitario, anche se con vite completamente diverse.
Hopper (in mostra fino al 12 Febbraio), è uno degli artisti del XX secolo più apprezzati. Catalogato spesso come caposcuola dei realisti, la sua pittura in realtà, ha in se altro. Nonostante il viaggio in Europa, che lo pose di fronte alle opere delle avanguardie del Vecchio Continente, una volta tornato in patria, mantenne un’autonomia artistica, che è uno dei tratti della sua arte. Il suo carattere schivo e solitario si riflette nelle sue tele, dove l’assordante silenzio, l’atmosfera metafisica e l’incomunicabilità tra i soggetti presenti nei suoi quadri, rivelano un uomo alienato, spiazzato dal frenetico progresso della società moderna. Infine tra le sezioni della mostra, ve n’è una dedicata al cinema e all’influenza che Hopper suscitò su alcuni importanti registi, come Hitchcock, Antonioni, Argento, solo per citarne alcuni.
Di Antonio Ligabue, sono presenti ben 100 opere che sottolineano l’attualità dell’opera di un artista, tra i più interessanti del Novecento. I suoi temi principali, gli animali, con i quali si sentiva più a suo agio che con gli uomini, belve, spesso in lotta tra loro, ma anche animali domestici. Poi i suoi autoritratti, nei quali metteva a nudo il suo disagio e l’inquietudine che lo pervadeva, infine i paesaggi agresti, unico soggetto dove la tensione sembra distendersi, trovando un po’ di pace. E’ questa la sintesi di una vita travagliata, fin dall’infanzia. Nato in Svizzera da una famiglia italiana, dovrà affrontare la morte della madre, il disastroso rapporto col compagno di lei, l’adozione, i problemi a scuola e i disturbi di relazione; infine a seguito di una denuncia della madre adottiva è spedito, senza conoscere una parola di italiano, proprio nel paese d’origine di quel patrigno, sulle rive del Po. La difficoltà con la lingua, il suo carattere difficile e le frequenti crisi, lo videro spesso ricoverato nei manicomi della provincia. Nonostante questo, sviluppò una capacità artistica, scoperta per la prima volta, nel 1929, da Renato Mazzacurati, esponente della Scuola Romana, che gli insegnò l’uso dei colori ad olio e lo instradò verso una piena valorizzazione del suo talento. Da qui dopo anni ancora difficili, cominciò comunque ad avere un certo riconoscimento artistico. Ancora pochi giorni, fino al 8 Gennaio, per godere dell’istintiva creatività di questo artista, dal percorso e dalla vita, assolutamente unici.